\paperw8790 \margr0\margl0 \plain \fs20 \f1 \fs24 Condizionata dal suo inserimento nelle strutture politiche, economiche e sociali della societα, ma anche condizionante a sua vol
ta quelle strutture, la Chiesa (o meglio i vari enti ecclesiastici come chiese episcopali, monasteri) si presentava nei primi decenni del secolo 11░ come una forza non diversa da quelle che agitavano il complesso mondo della realtα italiana. Per dire che
essa non era sostanzialmente nΘ peggiore nΘ migliore di queste: solo che essa doveva ancora presentarsi con uno ôstatutoö di legittimitα che aveva identitα diversa da quella dei vari \i potentes\i0 laici, imperatori, re, signori che nella coscienza col
lettiva avrebbero dovuto trovare nel clero un correttivo per la propria condotta, non unÆimmagine speculare della stessa. Cos∞ quelle che le tendenze riformatrici avrebbero bollato come le pi∙ gravi piaghe della Chiesa del secolo 11░, la compravendita di
cariche ecclesiastiche (simonia) e la prassi del concubinato (in cui, peraltro, venivano assimilati concubinaggio e matrimonio del clero, la cui proibizione non era cos∞ assoluta nemmeno nella tradizione canonistica) erano le manifestazioni pi∙ vistose
non di una manomissione o di una ingerenza dei vari potentati laici nelle cose interne della Chiesa, bens∞ dellÆintegrazione della stessa nella realtα del tempo. DÆaltra parte, i danni erano tanto pi∙ evidenti per una Chiesa che si fosse voluta riconosce
re in una entitα unitaria, organica, compatta: il che non era certamente ancora per lÆistituzione che doveva rappresentare complessivamente quellÆentitα, e cioΦ la Sede apostolica, pur sempre appannaggio di famiglie romane, di quella dei Tuscolani in par
ticolare, che vide ben tre suoi membri salire al soglio pontificio entro la prima metα del secolo 11░: Benedetto VIII, Giovanni XIX, Benedetto IX. Quei danni erano vistosamente di natura economica, in quanto agendo i singoli enti (vescovati, abbazie) ôin
proprioö nella gestione dei beni che sÆerano accumulati nel corso dei secoli a vantaggio degli stessi, il patrimonio che doveva teoricamente servire alle necessitα dei poveri finiva col venire coinvolto in contrattazioni di natura squisitamente politica
e clientelare. La clericalizzazione della ricchezza, paradossalmente, finiva col coincidere con lÆimpoverimento della Chiesa. Il fenomeno non era esclusivo dellÆItalia: ma qui aveva assunto, nella generalizzata crisi di poteri politici e amministrativi
efficienti, aspetti macroscopici. E tutto ci≥ spiega perchΘ voci sempre meno solitarie, provenienti da ambienti soprattutto monastici riformati ed eremitici (s. Romualdo, s. Pier Damiani, per ricordare due personalitα di spicco altissimo) finissero collÆ
identificare la necessaria riforma dei costumi del clero con lÆesigenza di una riforma del papato.\par
Il movimento riformatore, irradiatosi da Cluny per tutta la Lorena, e appoggiato dallo stesso Enrico III, nella sua concezione unitaria e religiosa di
Impero e di Chiesa, si era poi esteso in tutte le direzioni, aveva impregnato tutta la societα, incontrandosi con quelle aspirazioni di rinnovamento sociale che da tempo fermentavano un poÆ dappertutto, ma specialmente nelle cittα. In Italia, dove pi∙ p
rofonda e operante era lÆinfluenza dellÆordinamento ecclesiastico, dove pi∙ vivi e dinamici erano gli ideali della riforma e pi∙ vigorosi i fermenti e gli impulsi per un rinnovamento sociale, lÆondata riformatrice raggiunse una particolare intensitα.
\par
Nella lotta delle investiture, col motivo religioso (la ribellione dei fedeli contro i vescovi indegni e simoniaci) si confuse la ribellione politico-sociale dei ceti inferiori contro il proprio signore. Incoraggiata dai consensi che le giungevano da o
gni parte, rafforzata dallÆimponente afflusso di nuove e impetuose energie religiose, la Chiesa, da Leone IX a Stefano IX, a Niccol≥ II, sempre sotto la spinta dellÆinstancabile azione del monaco Ildebrando, consacrato egli stesso poi pontefice col nome
di Gregorio VII, con un continuo crescendo di disposizioni disciplinari, di decreti, di formulazioni teoriche, si liber≥ dapprima dalla corruzione interna e dalla pesante tutela dellÆImpero, per passare poi risolutamente allÆoffensiva con lÆesplicita pro
clamazione dellÆassoluta separazione dello spirituale dal temporale, della Chiesa dallÆImpero.\par
Nello stesso tempo, lo scontro con Enrico IV costringeva il papato ad appoggiarsi alla forza militare dei Normanni, che con abilitα ed energia andavano ra
ccogliendo sotto il loro potere tutto il Mezzogiorno dÆItalia. Da piccoli nuclei di guerrieri e avventurieri, quali erano inizialmente nei primi anni dopo il Mille, i Normanni, sotto la guida spregiudicata e fortunata dei Drengot e, ancor pi∙, degli Alta
villa, inserendosi nelle infinite lotte locali, al servizio mercenario di Bizantini, principi longobardi e imperatori, combattendo in ultimo per conto proprio, con Roberto il Guiscardo e Ruggero dÆAltavilla, avevano raggiunto una tale potenza da preoccup
are perfino la curia romana. Ma Leone IX, che nel 1053 era intervenuto contro i Normanni ed era stato fatto prigioniero ma trattato con ogni riguardo dal vincitore, trov≥ pi∙ conveniente venire a un accordo con essi. Si giunse, cos∞, al concordato di Mel
fi del 1059, con cui il papa, in nome proprio, concedeva tutta lÆItalia meridionale in vassallaggio ai Normanni, avendone in cambio lÆassistenza militare nella lotta contro lÆimperatore. Con il riconoscimento e lÆinvestitura papale, che costituivano la l
egittimazione delle usurpazioni e conquiste precedenti, i Normanni ripresero con rinnovato vigore la loro opera di unificazione politica di tutto il Mezzogiorno, dando a questa anche un colorito religioso, specialmente nella conquista della Sicilia musul
mana e nellÆeliminazione degli ultimi baluardi bizantini. La curia romana dovette accettare la rapida, travolgente avanzata di questi suoi alleati-nemici, che portarono cos∞ a termine la conquista del Mezzogiorno. Le maggiori preoccupazioni della Chiesa,
del resto, erano rivolte verso lÆItalia settentrionale, dove era in pieno svolgimento la lotta delle investiture. Qui lo scontro tra Gregorio VII ed Enrico IV coinvolgeva non solo la feudalitα laica ed ecclesiastica, ma anche il popolo delle cittα e del
le campagne, che nelle alterne vicende di vittorie e sconfitte dei protagonisti si faceva sempre pi∙ sentire. Papa e imperatore facevano a gara nella concessione di privilegi e di diplomi alle cittα per averle solidali al proprio fianco nella lotta. LÆau
toritα dellÆimpero e il potere politico dei vescovi, nellÆimperversare delle scomuniche, si erano per≥ allentati.\par
Aumentavano invece le autonomie locali, si rafforzavano e si consolidavano le organizzazioni e le amministrazioni indipendenti, sÆinten
sificava lo spirito associativo, prendeva forma il comune. Questo era il risultato di un lungo e lento processo politico, economico e sociale: la ripresa della vita cittadina con funzioni amministrative e direttive; il formarsi di nuovi ceti accanto ai v
assalli del vescovo e alla curia vescovile; lÆaumento della popolazione urbana nel rigoglio economico; il formarsi di organi autonomi e circoscritti a determinate funzioni della vita cittadina; la solidarietα e la comunanza dÆinteressi degli individui ne
llÆambito di un singolo ceto e professione e il differenziarsi di queste professioni nellÆambito della cittα e della sua pi∙ articolata economia, tutto ci≥ confluiva, e si consolidava, nellÆorganizzazione comunale. Occorre, dÆaltra parte, aver ben presen
te che lÆimpulso di accelerazione al processo costitutivo dei comuni fu piuttosto una risultanza oggettiva che non il felice esito di un programma del movimento riformatore della Chiesa.\par
Non si deve infatti dimenticare che la posizione eminente che
in cittα sede di diocesi avevano i vescovi, specie nellÆItalia settentrionale, coincideva, molto spesso, con la gestione di un potere che non solo poteva trovarsi in antitesi con i presupposti morali del papato riformatore (nella fattispecie le occasioni